Ho parlato per un’ora e 24 minuti con Mia san, la mia amica giapponese.
Le ho fatto compagnia mentre il tifone Hagibis stava per arrivare su Tokyo.
E ho scoperto che la sua percezione del pericolo e del dolore è tragicomica.
“Devo legare lavatrice perché ho paura che voli via”
“Scusa, ma dove la tieni?”
“Sul balcone”
Così mentre siti, telegiornali e social pubblicavano immagini devastanti del grande tifone, io immaginavo la lavatrice di Mia san volare per Shinjuku uccidendo passanti coraggiosi che sfidavano il vento.
“Ieri abbiamo fatto trasloco al lavoro, però il mio capo dice che non chiuderanno per l’emergenza tifone”
“Ma i treni non sono fermi?”
“Io devo prendere metro”
“E quindi?”
“Lui cattivo! Io non voglio più stare in Giappone”
Keiko, una mia conoscente che abita a Sukagawa, si è trovata tutto il primo piano della casa allagato. Ha dormito da alcuni amici, spera che l’assicurazione coprirà le spese per la ristrutturazione e si è rattristata perché la nostra foto che avevamo fatto insieme due anni fa si è rovinata.
Mia san invece alla fine non è andata al lavoro. Il suo capo si è cagato sotto e ha preferito tenere chiuso l’ufficio.
“Si però non mi pagano per questi due giorni. Lui cattivo”
Le partite di Rugby Italia – Nuova Zelanda e Inghilterra – Francia sono state cancellate per paura che qualcuno finisse seriamente nell’occhio del ciclone.
Ahimè ci abbiamo rimesso solo noi. La nostra nazionale è stata eliminata a tavolino.
È vero che battere gli All Balcks è come trovare intatto un cellulare dopo il passaggio di una mandria di bufali impazziti, però il solo fatto di non averci provato ha lasciato tutti con l’amaro in bocca.
“Potevano giocare dopo”
“Non lo so Mia san. Magari gli stadi erano prenotati per altre partite”
“Io non capisco”
“Guarda nemmeno io”
“Forse non dovevano organizzare durante periodo di tifone”
“Quindi è colpa del meteo?”
“Non lo so. A me non piace il rugby”
“Hai sentito il terremoto?”
“No, dormivo”
Mia san sembra non aver paura di nulla.
Dormiva nel 2011 quando lo Tsunami devastò il Tōhoku e Tokyo tremò così forte da far vibrare persino gli elastici delle mutande.
Non aveva sentito nulla. Era quasi rammaricata, perché mentre tutti gridavano e piangevano lei non trovava un motivo per soffrire. Nemmeno per i bicchieri rotti, visto che non si erano rotti.
È come se avesse una scudo che la difende da qualsiasi alterazione delle condizioni climatiche.
D’estate ha caldo, ma non troppo, d’inverno a freddo, ma non troppo.
Dice che cammina molto.
A oggi sono 26 i morti e 15 i dispersi il bilancio delle vittime del passaggio del tifone Hagibis.
Hagibis significa veloce in Tagalog, un’idioma filippino.
È anche il protagonista di uno dei primi fumetti filippini, scritto da Franciso V. Coching.
Già, Hagibis significa veloce, come il vento che ha soffiato oltre i 200 km all'ora, come il tempo di guarigione del cuore della mia amica giapponese.
Oggi c’era il sole a Tokyo. Un classico dopo la tempesta.
GiapponeTVB