Grazie alle mie spie ninja e ai miei Pokemon addestrati sono riuscito a contattare l’italiano più famoso in Giappone: Girolamo Panzetta.
La sua storia è una favola.
Presentatore, scrittore, attore e doppiatore. Infine modello, ambassador e icona di stile di una delle riviste di moda maschile più vendute nel Sol levante: Leon Magazine.
Classe 1962, nato in provincia di Avellino e cresciuto a Napoli. Arriva in Giappone negli anni novanta e, complice una trasmissione di lingua italiana sulla rete nazionale NHK, diventa nel giro di pochissimo una celebrità.
L’ho incontrato a Milano durante l’esclusiva festa di Leon Magazine che si è tenuta da Tenoha Milano, il lifestyle store giapponese, appena aperto sui Navigli.
Sconosciuto in Italia, famosissimo in Giappone. Su Youtube c’è persino un video per imparare a pronunciare il tuo nome. E’ ora di far luce sul tuo personaggio. Come vivi questo successo?
Ho sempre vissuto così: ridendo e scherzando, nel senso che è una situazione nata all’improvviso. Sono consapevole che potrebbe finire da un momento all'altro però vivo studiando e cercando di migliorare me stesso. Questo successo mi ha fatto scoprire qualità che non credevo di avere. Diciamo che ho preso il treno giusto al momento giusto.
E si sa i treni in Giappone sono sempre puntuali.
Vero. Sai io da piccolo ero molto timido, non avrei mai immaginato di finire in televisione o sui giornali. Adesso riesco a parlare di fronte a centinaia di persone, soprattutto in giapponese. Scrivo libri, faccio il modello, presento eventi. Cerco di dare felicità alle persone.
Guardando le tue trasmissioni in Giappone, sembra che tu trasmetta molta empatia.
All’inizio non mi accorgevo, poi con il tempo ho cercato di guardare oltre la telecamera. Io sono uno che si preoccupa di far star bene le persone. Alcuni pensano che io sia superficiale, soprattutto quelli che non mi conoscono, ma in Giappone non ti fanno lavorare se non sei serio, se non hai rispetto delle persone e se non sei puntuale. Ormai sono trent’anni che vivo qui.
E l’Italia?
Grazie al Giappone ho conosciuto ancora di più l’Italia. Ho studiato minuziosamente la sua storia, la cultura gastronomica, l’architettura, il design. Non dimentico le mie origini.
Su internet però ti criticano di stereotipare l’italiano medio.
Io non penso di essere uno stereotipo. Ci sono tante caratteristiche dell’essere italiano. Non è solo amore pizza e mandolino. Forse all’inizio della mia carriera impersonavo quello stereotipo, ma perché era il pubblico che mi voleva così. Poi con il tempo mi sono evoluto, ho studiato. Non puoi offrire sempre la stessa cosa al pubblico, sennò si annoia.
Il tuo primo libro è stato un best seller.
Quando sono arrivato in Giappone c’erano un sacco di libri sull’Italia, ma scritti in modo accademico. C’era una grande distanza fra il lettore e lo scrittore. Dopo il successo della mia prima trasmissione (Le lezioni d’italiano in tv) ho scritto: “Il Paradiso degli Italiani”. Volevo raccontare un’Italia diversa, fatta di persone e mestieri, andare oltre a quello che pensavano i giapponesi.
Ho raccontato la storia del mio vicino, poi quella del signore che abitava davanti al mio palazzo. Partendo da Napoli ho fatto il giro di tutta l’Italia diventando l’amico di tutti.
Ricordi De Crescenzo.
Infatti. Mi sono ispirato a lui. Per me De Crescenzo è come una scala, ti aiuta ad arrivare ai libri che stanno più in alto, che di solito sono quelli più complessi o che non vuoi leggere.
Nel programma di Pif - il Testimone - ti sei dichiarato opinion leader, su Wikipedia c'è scritto che sei attore e presentatore. Come ti definiresti in questo momento?
Si può dire life style? E’ difficile dire qual è il mio mestiere. Questa parola definisce un po’ tutto. O almeno quello che sono adesso.
Come è nata la tua collaborazione con la rivista Leon?
Abbiamo creato un sogno per i giapponesi. Questa rivista all’inizio aveva un target ben preciso: giapponesi con un reddito molto alto, laureati, con una famiglia e un' amante.
I giapponesi ricchi spendono molti soldi per la famiglia, ma ne spendono molti di più per l’amante.
E’ quasi uno status avere l’amante. Lo so che può suonare brutto.
Diamo delle direttive di stile, su come fare shopping e perché no, fare colpo sugli altri.
Avete solo modelli occidentali sulla vostra rivista.
Anche questa è stata una scommessa. Nei primi numeri pubblicavamo solo stilisti giapponesi e per il nostro target era un sogno. L'occidentale contaminato dallo stile nipponico. Impersonavamo i desideri dei giapponesi.
Pensa che nel secondo anno di pubblicazione avevamo recuperato tutto l’investimento del primo. Per una rivista è molto difficile, in Giappone credo sia una delle poche in attivo. Abbiamo anche un’edizione coreana e una cinese.
E’ una rivista insolita. Ci sei sempre tu in copertina. Nessuna casa editrice azzarderebbe questa strategia.
E’ unica nel sua genere. Hanno tentato di copiarci, ma nessuno ha il feeling di Leon. Io fra le pagine rappresento lo stereotipo dell’uomo che vive divertendosi, ma non rappresento l’italiano medio…poi lo so che alcuni mi guardano e pensano “che faccia di cazzo ha questo, sono meglio io” però non mi offendo. Io prendo questo mestiere con leggerezza, mi diverte conoscere persone nuove, designer, stilisti.
Ma tu eri già famoso quando hai iniziato con Leon.
Sì, alcuni brand mi regalavano gli abiti da indossare nelle mie trasmissioni, quindi poi è stato facile contattarli.
Ho letto che il direttore di Leon ti ha definito romantic, passionate, fashionable e Lady Killer. Non sono un po’ degli stereotipi?
Quando ho iniziato la mia carriera alla NHK nella trasmissione di lingua italiana mi piaceva già vestirmi con abiti ricercati e colorati. La rete non ti dava tanti soldi per il look. Io ero l’unico che spendeva per rifarsi il guardaroba. Il primo sponsor fu Romeo Gigli che mi diede dei suoi outfit da indossare. Poi il mio personaggio creò curiosità e quando iniziai a diventare famoso arrivarono tutti gli altri stilisti.
Quindi sì, sono fashionable. Sono anche romantico, ma chi non lo è?
Basta un mazzo di fiori o in Giappone il romanticismo ha altri codici?
Vivendo in Giappone diventi più sensibile. E’ difficile comunicare un sentimento, come facciamo noi in Italia. Il giapponese non ti dice che ti vuole bene, però te lo fa sentire. Siamo due culture opposte, io ho cercato di apprendere la parte migliore delle due.
E lady Killer?
E’ l’immagine un po’ del nostro giornale. Tutti vogliono essere Lady Killer, l’uomo a prescindere che sia attratto da una donna o da uno del suo stesso sesso vuole essere sempre cacciatore.
Però i giapponesi non hanno l’aria degli sciupafemmine?
In Giappone se un uomo di mezza età va in giro con una ragazza molto più giovane, non viene giudicato da nessuno. L’abbiamo creata un po’ noi questa situazione: si chiama Oyaji. E io dal giornale rifletto un po’ le intenzioni di questo tipo di giapponese.
Tua moglie non è gelosa?
Ormai si è abituata.
Lo sai che anche lei è ricercatissima. Eppure pochi conoscono la tua vita privata
E’ stato intenzionale. I media giapponesi sono molto curiosi. Alla fine ho cercato di mettere freno a questa curiosità, perché sennò rischiavo di perdere quell’immagine che avevo creato per la rivista.
Questo concetto di famiglia e amante è un po' contraddittorio.
In Giappone non sei giudicato se ti diverti e nel frattempo mantieni la famiglia. Non hai una bella immagine se ti diverti senza pensare ai tuoi doveri di marito e di padre.
Su Facebook c’è una pagina “Girolamo Panzetta non mi rappresenta”. Ti danno fastidio gli hater?
No. Io nel giornale rappresento un certo tipo di vita giapponese, non il giapponese.
È come se fossi la bocca del lettore. Non sono io realmente, forse vengo frainteso da questi hater, ma perché non mi conoscono. Tutto qui.
Dopo di te altri hanno partecipato alla trasmissione di lingua italiana, ma nessuno ha avuto il tuo stesso impatto mediatico.
Forse perché non hanno capito cosa voleva il pubblico giapponese. Io cercavo di portare felicità. I primi tempi dicevo solo “Buongiorno” e “Grazie” perché per la produzione avevo l’accento troppo napoletano. Però comunicavo con gli occhi, non recitavo un copione. E questo ha incuriosito il pubblico a casa. Così scrivevano in redazione chiedendo di farmi parlare, perché per loro ero simpatico e portavo allegria. Il boom lo abbiamo fatto grazie a un giovane regista che mi ha affiancato ad un’attrice famosa. Non facevamo i professori, ma improvvisavamo. Siamo andati avanti per 15 anni!
A proposito di luoghi comuni. E’ vero che il ruolo di presentatore lo hai avuto accompagnando un tuo amico al provino?
Sì è vero.
Però voglio sapere che fine ha fatto il tuo amico.
Ha una libreria a Noto. Si chiama Salvatore.
Torneresti a fare quella trasmissione?
Ti dico la verità. Per me è stata una bella esperienza, mi ha aiutato a vivere in Giappone e ad integrarmi. Ho imparato una lingua complessa, però venivo sempre trattato da straniero. Inserirsi è stato difficile. C’è voluto tempo. La Nhk mi ha aperto molte porte e mi ha insegnato a parlare in modo educato e attento.
Cosa ti manca dell’Italia?
Alcuni profumi. Certe sensazioni. Quando sbocciavano le rose nel giardino dei miei genitori c’era una fragranza per tutta casa.
Altro che Lady Killer, lei Signor Panzetta è un romanticone.
Sì è vero.
Quest’anno Tokyo ha preso più stelle Michelin di qualsiasi altra città al mondo. Il Giappone è diventata una delle mete turistiche più ambite. Qual è il tuo luogo del cuore a Tokyo?
Io non amo molto i luoghi turistici. Mi piacciono quelle vie dove ci sono le case di legno, quelle di una volta. Dove sembra di fare un time trip.
E invece se volessimo trovarti? Dove vai ad esempio a bere il caffè?
Di solito nel quartiere Roppongi. Per questione di comodità, ci sono hotel dove puoi fare incontri di lavoro su terrazze bellissime.
Sennò sto a casa con la mia famiglia e i miei cani.
Secondo una statistica fatta in Giappone gli italiani più famosi sono in ordine: Leonardo Da Vinci, Girolamo Panzetta e Giorgio Armani. Quali sono i progetti per superare Leonardo?
È un sondaggio vecchio, ma spero di averlo già superato. Scherzo! Sai i Giapponesi sono molto curiosi, però tendono a dimenticare. Le mode sono velocissime, così anche i personaggi. Io devo sempre avere un’immagine curata e al top, pensa che una volta ho viaggiato in premium economy e la hostess mi ha domandato se mi fosse successo qualcosa.
L’Italia è ancora sinonimo di eccellenza in Giappone?
Certo. I giapponesi vorrebbero essere italiani, avere la nostra allegria e spensieratezza. Una volta l’ambasciatore italiano mi ha presentato il segretario del primo ministro Abe. Mi ha emozionato la sua risposta: “Tutti noi conosciamo Giro san, non ha bisogno di presentarmelo”.
Con la rivista abbiamo vinto anche il premio per la parola dell’anno, era choi waru oyaji.
E’ un po’ difficile da tradurre, potrebbe suonare come uomo malandrino.
Quindi con Leon sei arrivato ovunque.
Una volta ad un incontro di boxe sono stato chiamato dalla Yakuza. Che paura! Stavano mangiando in una sala privata. Mi hanno voluto conoscere e vedere dal vivo. Non mi hanno chiesto nulla, volevano solo guardarmi.
A loro la parola choi waru oyaji piace molto.
Tranquillo non ho rapporti con la yakuza!
Ti manca solo la musica.
Mi piacerebbe molto, ma sono stonato!
Senti io sono per metà avellinese, anche io ho partecipato alla trasmissione della NHK di lingua italiana, mi dai due dritte per seguire la tua carriera?
Io non ero un attore. Bisogna attirare l’attenzione. E poi ero bravo a fare “settai”. E’ una sorta di scambio gentile. Quando venivano dei giornalisti a intervistarmi io li trattavo come amici, cucinavo loro la pasta e nel frattempo li intrattenevo.
Invitavo i registi della trasmissione a vedere il sumo, oppure fuori a cena.
Non c’era scambio di denaro, ma solo di cortesia.
Cercavo di lasciare un buon ricordo di me e spesso tornavano a offrimi lavoro. Ci vuole costanza, pazienza e alla fine un manager. Credimi in Giappone è difficile fare le cose da soli.
Girolamo parla tantissimo.
Ascoltarlo è come assistere a una lectio magistralis di un personaggio delle fiabe. Non credo esista uno come lui. E’ disponibile, educato, non ha sovrastrutture. Ama Kyoto di notte e torna spesso in Italia. Sul suo Instagram lo vedi spesso fare footing e urlare “Oggi è una bellissima giornata”. In più è grato. Grato al Giappone che lo ha reso celebre, alla sua famiglia e a sua moglie.
Per Giro San il successo è soggettivo, effimero. Va dosato con un po’ di fortuna e magari con un bel copione, ma è l’istinto la sua arma di successo. E’ determinato dalla sua stessa perseveranza nel raggiungere quello che considera un prezioso stato di felicità.
Si commuove quando parla di beneficenza, mi chiede di non scriverlo, perché dice che i giapponesi non vogliono sentirsi dire che sono poveri.
Dona sorrisi e veste spesso colorato, perché fra gli oscuri salarymen (gli impiegati giapponesi) è sempre meglio farsi notare.
GiapponeTVB
Foto: Andrea Tabaro © Leon Magazine © Girolamo Panzetta ©
Grazie a Flavio Gori e Tenoha Milano.