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PERCHÈ I GIAPPONESI DICONO "MOSHI MOSHI" DUE VOLTE?

Quando chiamo i miei amici in Giappone non riesco a trattenermi. Appena rispondono inizio subito a ridere. A distanza di anni non mi sono ancora abituato a quel “Moshi Moshi” che corrisponde al nostro “Pronto”, ma che per loro ha un significato antico, quasi magico.

Non tutti lo sanno.


Ho chiesto alla mia amica Mia san: "Perché si dice “Moshi Moshi” due volte?"
Mi ha risposto: "Moshi una volta signifca ‘se’"
"Ma voglio sapere perché lo dite due volte"
"Io non so, raccontami tu!"

Michele invece ha sempre pensato che fosse qualcosa legato alla sfera sessuale. E lui abita in Giappone da quasi dieci anni. 

Perché nessuno sa darmi una risposta???

kitsune

In questi lunghi giorni di vita claustrale imposti dalla pandemia mi capita spesso di perdermi nei meandri delle offerte della Paytv esplorando le bislacche categorie che mi consiglia: “Film con donne intraprendenti” “Serie tv da far tremare la sedia” “Telefilm per ringiovanire”.
Ho letto bene? Ringiovanire?

Così sono settimane che guardo “Teen Wolf”, una vecchia serie prodotta da Mtv ispirata al celebre “Voglia di Vincere” con Michael J.Fox.

Racconta la storia di un gruppo di compagni di college che abitano a Beacon Hill, un quartiere di Boston fighetto e pare pieno di boschi.

Qui vivono licantropi, coyote mannari, cacciatori di mostri di origini francesi, un cerbero ignifugo, banshee urlatrici che ti fanno uscire il sangue dalle orecchie coi loro strilli e druidi maligni che uccidono minorenni come fossero zanzare.

Ad un certo punto arrivano i giapponesi che con tutti i posti belli che ci sono negli Stati Uniti, non ho capito perché ne scelgono uno che ha un tasso di mortalità giovanile così alto.

Anche la giovane Kira – interpretata dalla bellissima coreana Arden Cho – è vittima di un sortilegio. Ma invece di trasformarsi in un lupo o essere posseduta da qualche spirito indiano, la sua maledizione è essere figlia di una Kitsune, la volpe giapponese.

Come vuole una delle leggende, lo spirito della Kitsune s’impossessa della povera studentessa trasformandola però in una potente spadaccina messaggera di morte e assetata di sangue. Ma la Kitsune ha un punto debole: è una somara dislessica. :-P

In una puntata la dolce Kira deve leggere un libro per scoprire l’identità di un misterioso trio di monelli chiamati “Dottori del terrore”, ma purtroppo non riesce a concentrarsi e finisce sempre per abbandonare il libro sul comodino.
 Così un suo amichetto secchione e spocchioso, le rivela che gli spiriti delle volpi non sanno parlare e leggere tanto bene e che il motivo per cui i giapponesi rispondono “Moshi Moshi” è perché la Kitsune non sa ripeterlo.

E io devo sapere questa cosa da una serie tv per sedicenni?
Allora sono corso subito ai ripari e ho scoperto che ci sono molte teorie sull’origine di questo modo curioso di rispondere al telefono.


I giapponesi dicono che nel periodo Edo i fantasmi erano soliti girovagare per le strade pronti a spaventare o circuire ignari passanti. Ogni tanto si tramutavano in donne procaci e gli uomini cadevano ai loro piedi. La storia narra che se rispondevi allo spettro quello ti rubava l’anima e se la metteva in saccoccia.
Dicono però che i fantasmi non fossero capaci di ripetere due volte “Moshi Moshi” così per scoprire la loro identità bastava farsi chiamare. Ora non so con che cosa, visto che all’epoca non esistevano apparecchi telefonici...

monaco giapponese
 
Il telefono arrivò in Giappone il 16 Dicembre 1890, un evento che si festeggia ancora ogni anno.
 Solo i ricchi avevano accesso a questo apparecchio che metteva in connessione persone lontane. 
Quando si chiamavano fra loro, uno diceva "Oi Oi" oppure "Hey You" e l’altro umilmente rispondeva "Hai, you gozaimasu".
 Ma i giapponesi, che sono formali, si sentivano offesi quando gli operatori telefonici usavano quel "Oi Oi" in maniera così sgarbata e diretta. 
Ci sarà pure una parola più lunga ed educata rispetto a quella specie di raglio d’asino…

Così fu adottato il più gentile “Moushiagemasu”. 

Shigenori Katougi era un elettricista del Ministero dell’Ingegneria giapponese. Doveva essere un tipo abbastanza peperino, perché non gli andava mai bene niente.
Aveva studiato in America tutti i misteri della telefonia comprese le questioni legate all’etichetta: come rispondere e che postura tenere durante la conversazione.
Fu lui che stabilì la formula abbreviata del “pronto giapponese” che gli operatori dovevano adottare. E non contento la differenziò in base al genere: i maschi dovevano dire “Mousu Mousu”, le femmine “Moshi Moshi”.
 Con gli anni il mestiere divenne “cosa da donne” e così quel “Mousu” si perse.


tempio giapponese


Io però continuo a pensare che la storia più carina rimanga quella presa in prestito dagli sceneggiatori americani e che racconta della volpe che per colpa del suo disturbo neurologico non riusciva mai a finire le parole.
Koizumi Yakumo, meglio conosciuto come Lafcadio Hearn, giornalista e scrittore irlandese naturalizzato giapponese, ne scrive in uno dei suoi libri.
La Kitsune è un animale amato e temuto, messaggero di Inari, la divinità del riso e dell'agricoltura.
Intelligenti e furbe, queste volpi sono capaci di cambiare aspetto e trasformarsi in bellissime donne per incantare qualsiasi uomo incroci il loro sguardo.
Nell’antichità le più birichine si divertivano a truffare boriosi samurai o stupidi viaggiatori. Non erano violente, ma sicuramente incantatrici e vendicative.
Per capire se si aveva a che fare davvero con una seducente fanciulla o con uno spirito dispettoso, bastava però farle parlare un po’.
Ma forse all’epoca contava di più il linguaggio del corpo perché spesso la Kitsune riusciva a farla franca e a portare a termine i suoi obiettivi senza che nessuno la interrogasse o si accorgesse del suo difetto di pronuncia.
E così nacque l’espressione “Moshi Moshi” la formula magia che stana la volpe.

Monte Takao

Gtvb